PROLOGO: Isola di
Santuaria, Atlantico del Nord.
La porta si aprì, e nella sala
riunioni entrarono le figure di Leonard Hebb e Georgianna Sue Castleberry.
“Ah, eccovi qui,” disse il
Dottor Tambura, lo scienziato-capo di Base Astra. L’uomo calvo dai folti baffi
grigi si tolse gli occhiali. Ripulendoli con un panno, si rivolse ai due piloti
di colore mentre questi prendevano posto alla tavola. “Scusatemi per aversi
svegliato…ma ci sono giunte notizie, per così dire, sorprendenti.” Fissò il suo
sguardo su Georgianna.
La moglie di Leonard ricambiò
con un’espressione incuriosita. Spostò il suo sguardo sugli altri tre
scienziati -il giovane Basque, la severa Sherna, e il corpulento Charn. Ma
nessuno di loro fu di ulteriore aiuto.
“Sorprendenti,” continuò
Tambura, “perché neppure noi eravamo a conoscenza di simili dati sul tuo conto,
Wings.” Porse alla donna un e-paper. Lei prese il sottile foglio di polimeri, e
iniziò a scorrere i dati. Poi impallidì. “Sono stata…adottata?”
“Continua, prego,” disse
Tambura. Osservando la sua flemma, Leonard ricordò che sotto quell’aspetto da
vecchio professore, così come sotto la pelle degli altri scienziati, si
nascondevano altrettanti alieni. Gente venuta sulla Terra per proteggerla dalle
mire dei conquistatori di una seconda razza di alieni dediti alla conquista…
Georgianna continuò a
leggere…e finalmente sollevò due occhi sgranati verso Leonard. “Amore, secondo
questo rapporto, io…io sono una Principessa.”
MARVELIT presenta
Episodio 9 - Preludio allo Scontro! La Regina del
Deserto!
“Io ricordo distintamente di
essere cresciuta nel Bronx, quando ancora il suo nome significava ghetto e
miseria. Mia madre era una donna alla buona, semplice, ma di grande rigore
morale. Quanto a mio padre, non si è mai fatto vedere da quando ha scoperto che
sarebbe diventato padre. Se mia madre fosse stata una regina o qualcosa del
genere, credo proprio che avrebbe scelto una vita migliore, piuttosto che
vivere ai margini della società.”
“La cosa potrebbe essere meno
semplice di così,” disse Charn, indicando l’ologramma di una donna giovane, dai
capelli crespi e venati di bianco lungo le tempie. Era in tutto e per tutto una
versione invecchiata di Georgianna. “Zana, erede al trono dell’Emirato di
Aqira, aveva vissuto per sua scelta il più lontano possibile dal suo paese. Era
l’ultimogenita, e le sue speranze di ottenere il trono per successione erano a
dir poco remote; nell’Emirato, avrebbe dovuto sopportare una lunga serie di
restrizioni a causa del suo sesso.
“Zana ha vissuto un po’
ovunque, e proprio durante il suo soggiorno americano, sarebbe stata
ingravidata da un Agente dell’Hydra, nell’ambito del loro Progetto Genesi.”
“Dunque, volevano un loro
supersoldato in una posizione politica dominante?” chiese El Lobo, l’ispanico.
“E perché scegliersi una mezza calzetta di paese che nessuno ha mai sentito
nominare? Un Reale inglese, o un futuro politico russo, quelli si possono
capire…”
Sherna si schiarì la gola.
“l’Emirato di Aqira confina a nord con il Kuwait. Controllare il vicino e le
sue riserve petrolifere significherebbe garantirsi un potere rilevante in tutto
il Medio Oriente.”
“Oh.”
“Zana rimase a dir poco
imbarazzata da quella gravidanza, che per lei era un incidente che rischiava di
compromettere per sempre la sua posizione nella famiglia reale. Così si
eclissò, riuscendo in qualche modo ad eludere la sorveglianza. Quando nascesti,
ti diede in affidamento alla signora Martha Castleberry, una senzatetto che aveva
appena avuto una figlia nata morta. Dopodiché decise di tornare in patria, da
dove non si sarebbe più mossa fino alla fine dei suoi giorni.”
Un silenzio di piombo calò
nella stanza. Winthrop Roan chiese, “Insomma, perché questa storia sarebbe
saltata fuori solo adesso? Cos’è? Avete trovato le lettere segrete della
signora Castleberry? Un parente di lei ha confessato tutto?”
“La Principessa Zana è morta un mese fa,” rispose Basque. “E
prima di esalare l’ultimo respiro, ha confessato le sue colpe. Ed ora, i suoi
parenti vogliono che Wings torni alla sua famiglia. Hanno cercato di mettersi
in contatto con tutti gli amici ed i parenti viventi di Ms. Castleberry,
finendo così per essere notati dalla nostra rete di sorveglianza.” Quest’ultima
una misura precauzionale che, se da una parte faceva storcere il naso ai
Thunderiders, dall’altro garantiva che se il nemico avesse voluto colpire i sei
eroi attraverso parenti ed amici, avrebbero avuto il loro daffare…
“Cavolo,” disse Leonard,
grattandosi la nuca. “Insomma, così, tutto d’un colpo, la nostra Sue è una
Principessa?”
Lei si alzò in piedi,
poggiando le mani sul tavolo. “Questo è ridicolo! Io non sono una Principessa,
e questa storia non ha alcun senso!” Tutti si voltarono a guardarla,
incuriositi. Lei scosse la testa. “Non intendo cambiare vita, e basta. Anche se
fossi la figlia del Re di Atlantide, sono ancora una Thunderider, una Shogun
Warrior e pilota del Gumper. E fare l’infermiera è la mia massima aspirazione
nella vita al di fuori di Base Astra. Se questa gente dovesse farsi viva,
Professori, per favore, sbatteteli fuori a calci da parte mia…”
“Temo che non si possa
risolvere così facilmente, mia cara,” disse Tambura. “La situazione in Aqira è
particolarmente tesa, e in quanto ‘agenzia esterna’ delle Nazioni Unite, è
nostro dovere mostrare che i terroristi sul posto non possono fare quello che
vogliono.”
Se gli sguardi avessero potuto
uccidere, Tambura avrebbe avuto di che soffrire.
Lui
proseguì tranquillo. “Tu e Leonard andrete ad Aqira. È meglio che la
questione-eredità venga risolta nel modo più breve ed indolore possibile per
tutti. Non possiamo permetterci il lusso di avere una nazione per nemico. Allo
stesso tempo, cercate di stanare i terroristi, se vi sarà possibile. Domande?”
Pochi minuti dopo, il Delfino
Spaziale si infilò nel cranio del super-robot Antares.
L’aeromobile Gumper schizzò
dalla sua rampa di lancio.
Il leone meccanico Beralios
lanciò il suo ruggito al cielo.
Antares saltò, ed andò ad
agganciare la maniglia ventrale del Gumper.
Dentro la sala comandi,
Tambura disse, “Teletrasporto fra cinque secondi, quattro, tre, due, uno…”
Charn schiacciò un pulsante.
I
tre mezzi scomparvero in un bagliore dai mille colori.
Riapparvero nei cieli
dell’Emirato di Aqira pochi istanti dopo.
Beralios atterrò sulla sabbia
del deserto, per poi guardarsi intorno.
“E questo sarebbe un Emirato?”
disse Georgianna, cercando invano un segno di vita nell’oceano sabbioso. “Ed io
che credevo che Santuaria fosse desolata. Almeno là ci volano degli uccelli.”
“Anche il Kuwait non è certo
un’oasi, amore,” rispose Leonard. “Ma non mi dispiacerebbe avere uno o due dei
suoi pozzi.”
“Soldi! Voi maschi riuscite a
pensare a qualcos’altro oltre ai soldi ed al potere?”
“Hai dimenticato il…”
“Lascia stare, maniaco.” Wings
sospirò. “Vediamo di sbrigarci, piuttosto: voglio sistemare questa faccenda al
più…Ehi! Lo vedi anche tu?”
Lui fece un fischio. “Eccome:
un vero assalto alla carovana. Interveniamo?”
Wrench ci aveva azzeccato in
pieno: un gruppo compatto di dromedari era sotto l’attacco di un gruppo di
predoni in nero, in groppa a cavalli neri come l’ebano. Diversi degli animali
braccati erano privi di cavaliere, mentre i superstiti resistevano quanto
meglio potevano… Ma era uno scontro sempre più impari: un altro colpo di fucile
spense la vita di un altro difensore. Ne restavano cinque, ormai, anche se il
loro coraggio valeva per dieci.
Ma non sarebbe bastato, a meno
di un miracolo.
Dall’alto di una duna, un uomo
vestito di un’ampia tunica nera, a bordo di un destriero decorato con l’oro e
la seta, osservava le ultime fasi del dramma. Sotto l’unica apertura a fessura
della maschera, gli occhi brillavano di soddisfazione: quel carico significava
davvero molto per la causa, e…
Che cosa..? Il suolo si era
messo a tremare improvvisamente. Non una scossa continua, ma una serie di
vibrazioni ad intervalli regolari, come se un gigante avesse deciso di
percorrere la terra dei mortali... Allah
proteggici!
Lo stesso pensiero percorse la
mente dei predoni, che avevano interrotto l’attacco, fissando allibiti
l’apparizione.
I carovanieri, invece
ringraziarono l’Onnipotente con tutta l’anima, anche se, onestamente, una simile
manifestazione era davvero più di quanto avessero sperato.
Ed un gigante era quello che
si stava precipitando sulla scena: un immane leone metallico, scintillante alla
luce del Sole. La grande bestia si fermò ad un passo dagli umani, e lanciò un
ruggito da scuotere l’aria come se avesse ruggito il Simun!
I predoni ed i cavalli fecero
un salto, e se la squagliarono uggiolando disperatamente.
Beralios aggiunse, per buona
misura, un doppio getto laser dagli occhi, sollevando colonne di sabbia ai
fianchi ed alla coda dei predoni. Quelli accelerarono il passo e svanirono
presto all’orizzonte.
Dalla sua posizione, l’uomo in
nero si irrigidì per la rabbia. Sulla sua spalla, stava appollaiato un raro
falcone dalle penne dorate. L’uccello emise un grido rabbioso.
L’uomo accarezzò la gola
dell’animale con un dito dalla pelle nera. “È solo un’opportunità negataci da
vili intrusi,” disse, osservando l’arrivo di Antares e Gumper. “Ci rifaremo,
vedrai…” E, dopo essere stato avvolto da un piccolo turbine di sabbia, scomparve.
“Tutto bene, Sue?”
Sotto il casco, lei corrugò la
fronte. “Niente, credevo di avere visto qualcuno…” ma non c’era nessuno, su
quella duna, e gli stessi strumenti, del resto, non avevano mai segnalato
alcunché.
Antares si lasciò andare, ed
atterrò accanto a Beralios. Gumper li raggiunse poco dopo.
Georgianna scese dal velivolo,
mentre il Delfino Spaziale si staccava dal robot. “Tutto bene, gente?” chiese
lei, contando come non mai sul traduttore universale fornito dai professori.
Iniziò a togliersi il casco.
Uno dei carovanieri le si
avvicinò, chinando più volte la testa in segno di ringraziamento. “Sì, padrona
del potente leone, noi stiamo be*” le parole gli morirono lì in gola nel
momento in cui vide il volto della donna. “Per Allah. Non può essere,” mormorò,
la sua meraviglia rispecchiata dalle espressioni degli altri carovanieri.
“Ma che sta succedendo, qui?”
Wrench sollevò la visiera in tempo per vedere i carovanieri prostrarsi di
fronte a sua moglie come di fronte ad una dea.
Il capocarovana sollevò il
capo. “Principessa, siete tornata. Le nostre preghiere sono state esaudite.
Lode all’Onnipotente!”
Improvvisamente, Wings non si
sentiva più così determinata a chiamare ‘sciocchezze’ quei rapporti sulla sua
origine. Di sicuro si sentiva molto imbarazzata ad essere trattata in quel
modo. “Io… Io non sono una princ…”
“Mia Signora, sei venuta dal
cielo, portando con te il potente leone a salvarci. Perdona questo popolo che
osò pensare male di te e di tua madre. Non siamo degni!”
Lei
guardò suo marito con la supplica negli occhi, ma Leonard stesso non sapeva
cosa dire: improvvisamente, quello che era sembrato un gioco retorico, stava
diventando realtà.
In un turbinio di sabbia,
l’uomo in nero apparve ai margini di una caverna.
Scese da cavallo, con il
rapace che si riassestò agitando le ali, ed oltrepassò la soglia.
Dentro, fu accolto dalla luce
di un braciere di bronzo. Il braciere stava ai piedi di una figura umana pure
in bronzo, identica nell’abbigliamento all’uomo in nero, seduta su un trono di roccia.
L’uomo si prostrò ai piedi
della statua. “Grande Fasud, il tuo umile discendente ha fallito. Non solo ho
perso un importante carico di cibo e di beni importanti per la nostra gente, ma
sono stato sconfitto dalla Principessa illegittima. Non posso vivere con questo
affronto nel cuore, la mia famiglia non può essere umiliata così. Ti prego,
grande Fasud, dimmi: cosa posso fare? Come posso salvare l’onore?”
Fasud era stato il primo, il
patriarca assoluto della famiglia dell’uomo in nero. Generazioni erano passate
davanti alla sua statua ed al braciere. In tempi remoti, pareva che la statua
avesse parlato ad alcuni dei discendenti…ma erano solo favole…
Fino ad oggi. Gli occhi della
statua si accesero, e la fiamma, alimentata da un pozzetto di petrolio, divampò
con nuova forza, quasi traboccando dal braciere!
“La tua afflizione mi muove a
compassione, figlio mio,” disse la statua, con voce profonda e tonante, facendo
vibrare le pareti rocciose.
L’uomo in nero sollevò il capo
di scatto. “Grande Fasud!”
“La tua pena è la mia pena. Il
tuo disonore è il mio disonore. La famiglia reale di Aqira non è degna di
occupare il trono che io tenni nella notte dei tempi.
“Shamun, è il momento che tu,
l’ultimo della mia gloriosa dinastia, ti mostri capace dei tuoi propositi.
Prendi.”
Il braciere brillò fino al
calor bianco, ma Shamun non distolse lo sguardo, anzi spalancò gli occhi mentre
osservava le fiamme comportarsi come un liquido, aggregarsi in una forma
precisa…
Quella di una spada e di uno
scudo fissati l’uno all’altro, metallo purissimo dai riflessi di diamante,
sospesi nell’aria.
Le
armi fluttuarono fino davanti a Shamun, che chinò di nuovo il capo. “Questi
sono i miei doni, figlio,” tuonò Fasud. “Siine degno. Colpisci i tuoi nemici al
cuore, con l’aiuto anche del falcone del sole. Se fallisci, non osare mai più
tornare qui.”
Sullo schermo fiammeggiante,
Shamun afferrò le armi, e il lampo nei suoi occhi valeva più di qualsiasi
promessa verbale.
Una mano passò sullo schermo,
spegnendolo.
La malevola figura di Lord Maur-Kon si strofinò le mani,
soddisfatta. “Eccellente, davvero eccellente. Questa volta, vittoria sarà
nostra senza ombra di dubbio: la mia pedina, con le mie armi incantate dal
cuore nero delle mie arti arcane, ucciderà i piloti di Daltanius prima che possano rendersene conto!”
“E
attraverso Shamun, l’Emirato di Aqira sarà mio con tutte le sue ricchezze,”
aggiunse la non meno sinistra figura del Dottor
Demonicus. “Questa è un’occasione troppo importante per farcela sfuggire,
Lord Maur-Kon! Fallisci,e conoscerai il dolore della mia punizione!”
Come il vicino Kuwait,
l’Emirato di Aqira era un misto di tradizioni e di splendore moderno. Salan, la
capitale, era un trionfo di edifici ultramoderni disseminati intorno ai nuclei
della città vecchia ed i suoi minareti. Strade percorse dalle più lussuose
berline costeggiavano vicoli concepiti per muli e carretti. La classe agiata
spendeva i suoi soldi fra le vetrine, quella povera costituiva un mosaico fra
le bancarelle dei mercati.
Oggi, tutti erano uniti nel tributare
gli omaggi all’insolita processione dei mezzi meccanici degli Shogun Warriors.
I carovanieri non erano così arretrati da non disporre di radio, e la notizia
del ritorno della Principessa si era propagata in fretta.
I mezzi si fermarono nella
grande piazza antistante il Palazzo Reale.
Quando Georgianna scese dal
Gumper e si tolse il casco, la folla esplose in un tonante applauso. Leonard,
il casco sottobraccio, le si mise affianco. Insieme, contemplarono la folla.
“Dici che mi accetterebbero come Principe?” lo chiese scherzosamente, quasi
sottovoce, ma dentro di sé, Wrench era davvero preoccupato. Potevano le
autorità di Aqira invalidare il matrimonio perché Georgianna sposasse qualche
principe locale?
Una delegazione raggiunse i
due piloti. In testa ai sette fra uomini e donne, Georgianna riconobbe l’uomo
del dossier: il fratello di Zana, l’Emiro Ahmed el-Sidu. Secondo i dati,
l’Emiro era gemello di Zana; doveva avere sessanta anni, ma non li dimostrava.
Era un uomo che camminava mostrando assoluta sicurezza di sé, con un volto
imperturbabile e il fuoco negli occhi. Georgianna se ne sentì immediatamente
intimidita.
L’uomo si fermò davanti a lei.
I suoi occhi la scrutarono come se lei fosse stata una strana opera d’arte; era
impossibile capire se fosse compiaciuto di sua nipote o disgustato…
Poi, lui stese le braccia e le
serrò le spalle. “Benvenuta a casa tua, nipote,” disse. Freddo, conciso.
“Uh…grazie. Credo.”
Lui
fece un cenno a Leonard. “Tu sei il marito, vero? Puoi seguirci.” E detto ciò,
si voltò.
“Troppa
grazia, Maestà,” sussurrò Wrench, solo per beccarsi una gomitata discreta nel
fianco.
“Ti chiediamo scusa per
le…sommarie celebrazioni,” disse l’Emiro.
Si trovavano in una stanza a
dir poco opulenta, enorme, dal soffitto a cupola, con colonne di marmo liscio
come vetro e venato di rosa. Al centro della stanza si trovava una piscina
dalle pareti di corallo. I mobili erano di mogano intarsiato di oro. Griglie
bene mimetizzate di condizionatori garantivano un’atmosfera fresca e piacevole.
Giochi di specchi garantivano un’illuminazione perfetta.
Il piacevole aroma di cibo
appena preparato si mescolava alle fragranze floreali. Era abbastanza cibo per
sfamare un esercito, constatò Georgianna. “Sommarie?” disse lei, che ancora si
sentiva immersa in un sogno. Così tanta gente mobilitata per lei non le
sembrava certo ‘sommario’!
L’Emiro annuì. “Una famiglia
unita è simbolo di forza. La prolungata assenza di Zana ha indebolito la nostra
posizione nei confronti del popolo, esponendoci sempre di più alle pressioni
delle famiglie dissidenti.”
Georgianna osservò gli altri
uomini seduti in cerchio. Dodici in tutto, oltre l’Emiro, di età comprese fra i
quaranta ed i diciotto anni. Lei era l’unica donna, e, sospettava, solo a causa
delle circostanze eccezionali. “Non ci sono donne, in famiglia?”
“Le donne non hanno alcunché
da spartire con gli affari reali,” disse un ragazzo di venti anni. Lei ricordò
il nome a stento, dalle presentazioni di prima: Khalim.
Lei fu subito irritata e dal contenuto
della risposta e dal tono saccente. “Dunque, il mio solo valore in queste
vicende reali è solo simbolico, giusto?” chiese, fissandolo negli occhi.
“Se dovesse morire ogni
maschio della famiglia reale, toccherebbe a te gestire l’Emirato,” rispose l’Emiro.
“Sei la consanguinea più anziana della famiglia, in fondo.”
“Troppo gentile,” rispose lei,
senza preoccuparsi di mascherare la sua irritazione. “Nel frattempo, cosa
farete? Mi terrete prigioniera qui, in qualche bella gabbia dorata? No grazie.”
“Nessuna prigione,” rispose un
uomo sui trenta con una bella barba nera. “Ma è tuo dovere restare nella tua
terra, essere presente per rasserenare il popolo.”
“Il mio dovere è combattere
per la pace nel mondo, non di fare la bambola in vetrina. Come volete metterla?”
Ahmed
el-Sidu sollevò una mano a fare tacere entrambi. “Basta così. Queste non sono
questioni da decidere a caldo, non in questo momento. Questo deve essere un
giorno di gioia, per la nazione.”
A Leonard era stato permesso
di seguire sua moglie fino all’ingresso del Palazzo, e per il tempo necessario
alle presentazioni con il resto della famiglia reale. Dopo, era stata calata
cortesemente, ma fermamente, una barriera fra lui e Georgianna. Avrebbe potuto
rivederla solo a colloqui terminati.
Ci pensò il Capo dei Servizi
di Sicurezza, ad intrattenerlo, un tipo tozzo, robusto, dall’aria autoritaria,
con una faccia che avrebbe messo un po’ di apprensione a qualcuno della Casa
Bianca. “Generale Abu Ishtami,” disse il militare, stendendo la mano. “Molto felice
di conoscerla. Ero a bordo dell’aereo di linea Pan-Am 443, e vi ho visto in
azione[i]. Siete
dei combattenti davvero impressionanti.”
“Grazie!” Leonard ricambiò la
stretta, non sapendo che altro dire. “Um, posso farle un autografo? O anche
riparare un guasto, sono un meccanico provetto.” Dio, se si sentiva un ragazzo
di campagna! Ma in fondo, l’ingegneria elettronica e meccanica erano la sua specializzazione. Nei
Thunderiders, insieme a Georgianna, il suo impegno era di tipo logistico, le gare
le facevano gli altri. Leonard non era davvero il tipo da bagni di folla…
Ishtami rise. “Niente di così
triviale, glielo assicuro, Mr. Hebb! In realtà, abbiamo molto bisogno del
vostro aiuto per i nostri…uhm, problemi interni. Ve ne è stato accennato?”
Leonard annuì. “Come possiamo
aiutarvi?”
Il volto del militare si fece
cupo. “Sappiamo dove si trova un covo importante di nemici…ma non abbiamo i
mezzi per stanarli tutti. Vogliamo essere sicuri di potere coprire l’area delle
loro vie di fuga prima che si dileguino. I vostri mezzi farebbero al caso
nostro: insieme al nostro esercito, infliggeremmo a quei vermi un colpo
mortale.”
Leonard digrignò i denti, a
quel tono. Anche se lui stesso era un combattente, non era certo un entusiasta
della guerra… Ma, in fondo, chi era lui per giudicare quello che stava
succedendo in questo paese? “Dovrete inoltrare una richiesta formale all’ONU,
ad ogni modo: noi prestiamo volentieri il nostro servizio per la difesa del
pianeta, ma l’interferenza negli affari interni di uno stato sovrano è un altro
discorso.”
Abu Ishtami annuì. “Abbiamo
già iniziato a muoverci per l’autorizzazione, dovremo conoscere la risposta per
domani. Vi ringrazio per la disponibilità, ad ogni modo.”
“È un vero piacere.” Almeno,
questa bega era stata rimandata. Per ora. E Leonard tornò a guardare la porta
della stanza reale.
Questa si aprì circa un’ora
dopo, sbattuta con violenza, nonostante le dimensioni, da una furiosa
Georgianna.
“Non è andata molto bene, eh?”
Lei quasi mandava lampi dagli
occhi. “Lo giuro! Questa gente dà un nuovo significato alla parola
‘retrogrado’! Se non fosse per i terroristi, sarei già sparita! Petrolio
maledetto!” Afferrò il marito per il braccio, trascinandoselo dietro come un
cagnolino al guinzaglio corto. “Andiamo! Meglio dormire a bordo del Gumper,
piuttosto che spendere un altro minuto in questa prigione di marmo…” In quel
momento, una tremenda vibrazione scosse le pareti! Il rumore dell’esplosione
giunse quasi contemporaneamente.
I due piloti si guardarono
negli occhi, e insieme corsero vero la fonte del disastro.
Trovarono ad accoglierli uno
spettacolo agghiacciante: il cancello frontale dell’edificio reale era stato
sventrato da un’autobomba, i cui fiammeggianti impedivano a chiunque di entrare
o di uscire. Il fumo denso e la folla impedivano di fare anche un solo passo
verso il disastro. La Polizia e le autoambulanze stavano arrivando in quel
momento a sirene spiegate.
Georgianna fermò una delle
guardie. “Sono un’infermiera! Posso aiutare…”
La guardia, in tono cortese ma
fermo, le disse, “Lei è la Principessa: non può esporsi. Ai feriti penseranno i
medici…” lei lo afferrò per il bavero. “Allora ti ordino di condurmi dai feriti, o il mio primo editto riguarderà la
tua decapitazione!”
L’uomo, nonostante fosse alto
e robusto il doppio di lei, impallidì e deglutì, ma si ricompose in fretta. “Mi
segua, Altezza.”
Lei gli corse dietro, seguita
da Leonard. Voltando brevemente la testa verso il marito, gli disse, “Il rango
ha i suoi privilegi, devo ammetterlo.” Evitò di concentrarsi sul fatto che più
questo nuovo sviluppo procedeva, più lei rimaneva invischiata nel ruolo che
voleva evitare…
Uscirono da una porta
laterale. Le guardie si fecero doverosamente da parte, ma mantenendo una formazione
protettiva intorno alla loro principessa.
Ma non bastò: appena furono in
strada, con uno stridore terribile, un gigantesco uccello dorato fu loro
addosso! Doveva avere un’apertura alare di cinque metri, era gigantesco! E
nonostante le sue dimensioni, fu così veloce che ne’ Leonard ne’ Georgianna
fecero in tempo a tirare fuori le loro pistole.
La bestia afferrò Georgianna
per le spalle! Poi spalancò il becco, e il suo grido quasi distrusse i timpani
di ogni orecchio nel raggio di mezzo chilometro. E quando gli uomini furono a
terra, sanguinanti, chi reggendosi le tempie, chi svenuto, il falcone dorato
scomparve in un turbinio d’aria.